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“I soliti ignoti” e la commedia all’italiana

In questi giorni da più parti si celebra il cinquantenario de “I soliti ignoti” di Mario Monicelli, vero e proprio gioiello della cinematografia italiana, e non solo: “Questa specie di versione popolana e ilare di Rififi di Dassin è il miglior film di Monicelli e la migliore commedia all’italiana di sempre. Un bel ritmo, piccole annotazioni gustose e una serie di personaggi abbozzati alla perfezione, e che sono entrati a far parte della memoria collettiva… Campione d’incassi in Italia e buon successo anche negli Usa… Nomination agli Oscar” (Paolo Mereghetti).

Per molti, è proprio il film di Monicelli a segnare la nascita della commedia all’italiana (1).

Il critico Massimo Moscati non è d’accordo. A suo parere essa nasce alla fine degli anni Quaranta e ha diverse origini: gli intermezzi comici del varietà popolare, la commedia borghese degli anni Trenta con la sua ironia discreta, la commedia dialettale (per non parlare della commedia dell’arte del 1500-1600). Naturalmente stretto è il rapporto con il neorealismo (“la commedia riprende in tono diverso i temi della scuola della Liberazione”, René Prédal), le cui problematiche sono alleggerite e trattate con meno pessimismo: è indubbio il suo essere “attento testimone delle cause e delle conseguenze dei fenomeni sociali, culturali, economici e politici che gravano profondamente sulle mentalità… La commedia all’italiana sviluppa una cinematografia che lascia filtrare -dietro le risate- l’amarezza, l’inquietudine, la collera”.
La commedia all’italiana (
“un genere che non sarà mai un insieme uniforme e immutabile”) si impose rapidamente, il suo successo si espande senza freno (ed è da sottolineare che essa consente agli autori di affrontare argomenti altrimenti banditi dalla censura).
La scena è dominata da grandi attori ai quali si permette di esibire in pieno il loro talento (serviti in modo determinante da abili sceneggiatori): agli “anziani” Totò, Aldo Fabrizi, Peppino De Filippo, Vittorio De Sica, Gino Cervi… si aggiungono i “giovani” Walter Chiari, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Gina Lollobrigida, Sophia Loren…
Come spesso accade, di fronte allo straripante successo l’industria cinematografica sfruttò in ogni modo il filone, dando vita a stereotipi che finiranno con l’impoverire il genere (da ricordare che alla fine degli anni Cinquanta si producono in Italia più di 160 pellicole, l’affluenza di pubblico è enorme, le sale sono più di 10.000, il cinema nazionale è al vertice degli incassi).
Agli inizi degli anni Settanta, la commedia domina ancora: passato il boom economico del decennio precedente, passata l’illusione di un facile benessere per tutti, rimangono individualismo, tensioni politiche, alienazione, indifferenza, perdita di valori… e tutto questo -con l’ausilio della metafora- viene denunciato proprio dalla commedia (basti pensare a
“Detenuto in attesa di giudizio” “Pane e cioccolata” “Un borghese piccolo piccolo”…).
“Durante gli anni ’70, la commedia assume colorazioni vieppiù sinistre, la risata muore nella strozza ed il lieto fine compare assai di rado. Ad una evidente ragione anagrafica (alla fine del decennio, gente come Pietrangeli, Germi o De Sica non c’è più; mentre i Comencini, i Risi, i Monicelli han superato ampiamente la sessantina), si aggiunge il clima del paese che sprofonda – lentamente ma inesorabilmente – nell’incubo degli anni di piombo” (Francesco Troiano).
Gli anni Ottanta vedono non solo la crisi della commedia ma dell’intera cinematografia, e la prima a farne le spese fu proprio quella italiana (nel 1955 i biglietti venduti furono 819 milioni, nel 1981 sono 195 milioni, ): il tutto accompagnato dalla progressiva chiusura delle sale, dall’accanimento della censura, dall’accentuarsi della pressione fiscale. La causa principale è naturalmente la televisione e la fine del monopolio Rai: prima in tv si vedevano due film a settimana, nel 1980 ne abbiamo 230 settimanalmente.

Ma ritorniamo a “I soliti ignoti”, sicuramente il punto più alto toccato dalla commedia all’italiana.
Questo capolavoro che
“ha segnato un passaggio importante per la celluloide nazionale” e che “è diventato un radar del suo tempo e… lo specchio di una società e la parabola di una condizione umana” (Guido Barlozzetti), all’epoca non fu pienamente compreso dalla critica ufficiale. Scrive Gianni Amelio: I soliti ignoti, (destino delle commedie) a qualcuno sembrava acqua fresca. Secondo i parametri di allora, Monicelli era un bravo artigiano affidabile, uno che conosceva il mestiere e per fortuna non aveva grilli per la testa: con un copione che funziona, attori popolari, un po’ di soldi, state tranquilli che farà onore, dicevano tutti”.

Oggi tutti riconoscono che il film è una tappa fondamentale nell’evolversi della nostra cinematografia: si abbandona “lo stile provinciale della commedia di costume: macchiettismo caricaturale, vita di popolo, buoni sentimenti. Un cinema artigianale, alla buona, che riscosse un grande successo presso il pubblico più periferico, che riuscì a contrastare i prodotti americani proprio grazie all’adozione di carattere e tradizioni locali” (Scaruffi.com).
Con “I soliti ignoti” “il “comico” diventa “cosa seria”” (Pino Farinotti).
“È il 1° film comico italiano dove compare la morte, con personaggi invece di macchiette, una comicità venata di dramma e il tema dell’amicizia virile, raro nella cultura e nello spettacolo italiano” (il Morandini).
“I comici de I soliti ignoti cessano per la prima volta di essere delle marionette, delle maschere che giocano la comicità esclusivamente in chiave di gag, giochi di parole, gesti buffi o nonsense, e articolano i dialoghi e le trovate umoristiche su prove definite, a volte anche macchiettistiche e caricaturali, ma riferite sempre ad una sceneggiatura chiara… Con I soliti ignoti nasce in Italia un nuovo tipo di commedia comica che abbandona i canoni praticati nel cinema sino a quel momento, che risalivano sostanzialmente alla florida tradizione dell’avanspettacolo, del varietà o del Cafè Chantant… si apre alla quotidianità, alla realtà e innesta i suoi caratteri su precisi riferimenti sociali, chiari al pubblico che li vive spesso in prima persona (Wikipedia).

Ma non solo. Il film ebbe anche il merito di dare la possibilità all’immenso Totò di dispiegare in pieno la sua eccelsa arte recitativa, rivelò le insospettate doti comiche di Vittorio Gassman, diede a Marcello Mastroianni l’opportunità di delineare alla perfezione la figura del “disincantato” (che gli rimarrà addosso per molto tempo), offrì l’occasione a Renato Salvatori di maturare le sue doti, lanciò definitivamente due giovani emergenti come Carla Gravina e Claudia Cardinale, senza dimenticare i due fenomeni regionali Tiberio Murgia e Carlo Pisacane (non semplici macchiette ma personaggi indimenticabili a tutto tondo).

(1)
“Perché ostinarsi a dire commedia all’italiana? Quelle che vengono fatte in America non vengono chiamate all’americana. Siccome i critici amano le etichette, proporrei questa: la commedia all’italiana come la definiscono i critici all’italiana”. Sono parole di Dino Risi, consapevole del pregiudizio che ha a lungo accompagnato la commedia.

commediaall'italiana
(cinemaleo)

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