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“Machan” di Uberto Pasolini

Finora noto come produttore di “Con la testa tra le stelle” “I vestiti nuovi dell’imperatore” “Palookaville” e del celeberrimo “The Full Monty” , Uberto Pasolini (nipote di Luchino Visconti) debutta nella regia presentando nelle Giornate degli Autori del Festival di Venezia questo piccolo gioiello ispirato a una storia vera accaduta quattro anni fa.


Si è aggiudicato la vittoria. Questa la motivazione del premio veneziano: “L’immigrazione è un problema molto concreto nell’Europa di oggi e questo è un film divertente, molto ben scritto e diretto che riesce a parlarne con umorismo e senza scivolare in facili sentimentalismi. Riteniamo questi aspetti in grado di attrarre e divertire un vasto pubblico in tutta Europa, contribuendo ad alimentare la discussione su un argomento così importante”.
La Giuria veneziana punta l’accento sul divertimento: certamente a volte si sorride, in
“Machan” sono presenti tracce di humour inglese e ironia, ma a prevalere sono i toni malinconici, il dramma che fa da sfondo alla incredibile vicenda di un disparato gruppo di singalesi (dalle diverse componenti etniche, religiose e culturali)  che si spacciano per la inesistente e fantomatica Nazionale di pallamano, senza neanche sapere in che cosa questo gioco consista, pur di ottenere il visto di espatrio per la Germania.

“Machan” (in lingua cingalese “amico”) è stato realizzato con pochi mezzi e con attori spesso non professionisti, ma la regia è talmente accorta e abile che la cosa non si avverte. La vita di Colombo (Sri Lanka) è mirabilmente descritta (diventa quasi protagonista di tutta la storia), con le sue luci (poche) e le sue ombre (molte) ma il tutto è talmente equilibrato e misurato da non cadere mai nel facile folclore o nel ricattatorio pietismo e nell’inutile buonismo.
Con attenzione sensibilità e delicatezza Pasolini è bravissimo nel descrivere, di uomini in cerca di una nuova dignità, sogni speranze illusioni ingenuità…  che ci toccano e ci commuovono nella loro semplicità e spontaneità.

Affresco sentito e sincero di quanto accade in gran parte del mondo a noi lontano ma le cui conseguenze ci riguardano sempre di più, ritratto partecipe e veritiero di personaggi dalla grande umanità, asciutta e non retorica denuncia dell’intolleranza e dell’ostilità verso chi ci appare diverso… un film oltremodo interessante e che onora il cinema italiano (così alieno dall’affrontare temi del genere non pesantemente).
Un lavoro “dall’atmosfera esotica e familiare insieme che in Sri Lanka è stato accolto con entusiasmo, non come il film di uno straniero, ma come un film di casa loro” (Manuela Grassi).
Un’opera agrodolce più che piacevole… ma da vedersi soprattutto per rendersi conto di una drammatica realtà che ci coinvolge più o meno tutti e che se non la si comprende sarà difficile da risolvere.
Si esce dalla sala soddisfatti per aver assistito a uno spettacolo intelligente e che, con mano leggera, ci mette in discussione, indecisi tra il sorriso (il lieto fine in fondo non manca) e l’amarezza per quanto accade a gran parte dell’umanità.

Scrive La Repubblica: “Un film che ha convinto ed emozionato il popolo della Mostra di Venezia, tradizionalmente severo con le opere made in Italy premiandolo in termini di entusiasmo, code chilometriche per assistere alla proiezioni, giudizi positivi post-visione”.

p.s.
A Venezia è stata presentata l’edizione originale con gli attori che recitano nella loro lingua natia. Nelle sale invece circola l’edizione interamente doppiata, il che toglie verità e “musicalità” al tutto.
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(cinemaleo)

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