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“Le tre scimmie” di Nuri Bilge Ceylan

Le Tre Scimmie (2008) di Nuri Bilge Ceylan. Regista turco, esperto di ingegneria elettrica e di fotografia, non è un nome noto al grande pubblico ma chi frequenta i Festival lo conosce bene (nel 2003 a Cannes il suo autobiografico Uzak vinse due premi, ma nel 2006 il suo I Climi fu abbondantemente fischiato dai rappresentanti della stampa): “soprannominato l’Antonioni turco, è uno dei nomi più in vista del cinema contemporaneo. E uno degli sguardi più originali e penetranti sulle relazioni umane” (Nicola Falcinella).

Non tutti i critici hanno gradito, ma Le Tre Scimmie al 61° Festival di Cannes ha entusiasmato la Giuria che lo ha giustamente premiato come “miglior regia”.
Un film severo (
“algido, quasi scandinavo”, afferma Federico Gironi) che richiede impegno e attenzione da parte dello spettatore che viene però ripagato con uno dei lavori più interessanti delle ultime stagioni.

Fotografia monocromatica di una bellezza non usuale, ogni inquadratura sembra un quadro: quanto di meglio si sia visto ultimamente.
Attori superlativi, in grado di trasmettere sensazioni ed emozioni a non finire solo con gli sguardi, i gesti (le parole sono ridotte al minimo): spicca Hatice Aslan, drammatica e intensa come poche, uno dei volti più interessanti che il grande schermo ci abbia recentemente mostrato (non sarà facile dimenticarla, l’augurio è di rivederla presto), mirabile nel disegnare una donna vittima tre volte, come madre come moglie come amante.

Un desolante affresco dell’umanità dominata, e schiavizzata, dal danaro e dal potere; una umanità senza speranza, corrotta e colpevole, amorale disgregata smarrita, incapace di comunicare. Un affresco che pone l’accento sull’ipocrisia, sulla viltà, sulla mancanza di coraggio di guardare una realtà che addolora e ferisce : un invito a riflettere su noi stessi e a metterci in discussione.

Con una sceneggiatura essenziale ed asciutta al massimo, tutto è nelle mani della regia. Una regia che sintetizza, e fa sua (come scrive Gianni Quilici), le caratteristiche di tre maestri come Anghelopulos, Bergman e Bresson: “Anghelopulos per l’inquadratura fissa… una soggettiva che si carica di un sentimento forte, sospeso, inesprimibile. Bergman per i primissimi piani e contropiani, che rendono in modo scultoreo dolore, contrasto, condizione di inferiorità, desiderio. Bresson per l’importanza dei suoni che diventano colonna sonora espressiva del film: la porta che cigola, i cani che abbaiano, il cellulare che canta, il treno che passa, i grilli… “.  Una regia da applauso che fotografa il silenzio.

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1 commento a “Le tre scimmie” di Nuri Bilge Ceylan

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