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“La banda Baader Meinhof” di Udi Edel

In patria ha suscitato polemiche a non finire (accusato assurdamente, tra l’altro, di celebrare le gesta romantiche di criminali tanto feroci) ma al botteghino è stato un trionfo.

E’ stato sicuramente uno degli eventi più importanti del Festival cinematografico di Roma, suscitando però perplessità se non aperta delusione: abbiamo la rievocazione degli anni del terrorismo (dal 67 al 77) che vide protagonista la cosiddetta banda capeggiata da Andreas Baader e Ulrike Meinhof, la RAF (Rote Armee Fraktion), fonte di ispirazione anche per le nostre BR.

L’accoglienza della critica non è stata unanime (anche se tutti riconoscono lo sforzo produttivo… “grandioso” scrive Gian Luigi Rondi): si va da “un film complesso… cronaca densa e puntuale degli eventi” (Ciak) a “un film che vuole dire tutto e non sceglie niente, onnicomprensivamente televisivo e bolso nello stile” (Repubblica).

Udi Edel, aiutato da Stefan Aust (direttore per molti anni di “Der Spiegel”, è suo un libro-inchiesta ritenuto il testo più autorevole sull’argomento) e da Bernd Eichinger (sceneggiatore e produttore della pellicola), ha coscientemente  affrontato notevoli rischi nell’analizzare avvenimenti così incandescenti e scomodi per l’intera Germania (e non solo) anche per la non eccessiva distanza temporale.
Il film inizia (ed è la parta migliore) con l’affresco del clima sociale politico culturale che è alla base del terrorismo: non certo per “giustificare” ma per “spiegare” quel che poi sarebbe accaduto (il passaggio dalla rivolta intellettuale alla lotta armata, dal volere una società più umana alla perdita della propria umanità) e in tutto il mondo occidentale (scrive giustamente Glauco Almonte:
“Edel si dichiara dalla parte del movimento ma non da quella dei terroristi: è una scelta coraggiosa, poteva limitarsi a raccontare una storia rimanendone al di fuori, senza prendere posizione”): il personaggio interpretato dal sempre ottimo Bruno Ganz (il capo delle forze di polizia), con quello che dice, ne è l’emblema.

Man mano che si va avanti però, si ha l’impressione che ai realizzatori del film  interessino più la spettacolarità che l’approfondimento psicologico dei vari personaggi e l’analisi del contesto storico. Sceneggiatore e regista hanno messo le mani avanti dichiarando in una intervista, che dei terroristi “bisognava dare risalto a quello che sono state le loro azioni, prima che il loro pensiero, azioni criminali gravissime che hanno progressivamente segnato anche la loro fine”. Resta però il fatto che accentuando il ritmo e lo stile da action movie, evidenziando al massimo la farneticante pazzia dei protagonisti fino a rasentare a volte il grottesco, il tutto diviene alquanto approssimativo e impedisce allo spettatore di partecipare emotivamente. E’ evidente che il regista, con il suo procedere impersonale, distaccato e quasi freddo vuole che “il film ponga interrogativi senza dare risposte”, lasciando al pubblico ogni giudizio politico ed etico con il suo presentare semplicemente dei fatti… ma i fatti, innumerevoli, si susseguono uno dopo l’altro senza suscitare però emozione e affievolendo notevolmente l’interesse in chi vede.
Non tutto poi è credibile e verosimile (possibile che chi vive in clandestinità, in città assediate alla ricerca di esponenti dell’estrema sinistra, si vesta e si comporti come ci viene mostrato?).

Eccessivamente e inutilmente lungo (stanchezza e noia affiorano qua e là), il film  formalmente è ben fatto (buono l’utilizzo delle luci naturali, della macchina a mano, delle location originali, degli effetti speciali non dominanti) ed offre una eccellente performance da parte dell’intero cast.

Il risultato finale è di essere anni luce lontano dalla tensione morale dei celebri e trascinanti “Anni di piombo” di Margarethe Von Trotta e “Christiane F. – Noi ragazzi dello Zoo di Berlino” che fece giustamente conoscere e apprezzare Udi Edel  in tutto il mondo.

Il film è stato candidato dalla Germania al premio Oscar.

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