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Changeling (2008) di Clint Eastwood

Titolo originale: Changeling
Regia: Clint Eastwood
Cast: Angelina Jolie, John Malkovich, Jeffrey Donovan, Colm Feore, Jason Butler Harner
Sceneggiatura: J. Michael Straczynski
Anno:
2008
Uscita Italiana: Venerdì 14 Novembre 2008
Trama: LA, marzo 1928. Una madre nubile, rientrata nella modesta abitazione dove vive con il figlio, si trova davanti ad un incubo: la scomparsa del bambino. Le lunghe ed estenuanti ricerche non portano a nulla fino a quando, 5 mesi dopo, un bimbo che afferma di essere suo figlio le viene restituito dalla polizia…

L’argomento è forte, le intenzioni sono nobili… ma il film (considerato chi è il regista) delude.

E’ stato presentato al 61° Festival di Cannes con svariati elogi da parte della critica: “Eastwood propone un film di un classicismo puro, che utilizza il linguaggio della vecchia Hollywood con una sincerità e una potenza espressiva come solo lui può fare” (Le Monde); “E’ un film che ti rapisce… con uno stile tanto solido che non ti accorgi neanche della macchina da presa” (El Pais); “Se la sostanza politica del film è durissima, dal punto di vista stilistico The Changeling è superiore ad ogni elogio: è splendida la ricostruzione d’epoca, sono straordinari tutti gli attori” (L’Unità); “…conferma ancora una volta il talento narrativo di Eastwood, la sua capacità di ambientare le situazioni e dirigere con mano sicura gli attori” (La Stampa).

“Changeling” (nel vocabolario inglese il termine indica una bambino sostituito) è una grande produzione che affronta temi importanti e ha il coraggio di denunciare le storture della giustizia americana.
Ma non sembra un film degno del grande Clint che ci aveva abituato a una intensità, a una sobrietà, a una essenzialità sempre più rare sul grande schermo.

Non vi sono sfumature: tutto è mostrato, tutto è spiegato all’eccesso, niente è lasciato alla intuizione e all’immaginazione, all’inquietudine e incertezze dello spettatore. La storia che ci viene raccontata è vera (un drammatico fatto di cronaca dell’America alla fine degli anni Venti) ma il film non sembra credibile. Non è verosimile il modo con cui polizia e manicomio vengono rappresentati: sembra di assistere a un film di guerra degli anni 50, dove i tedeschi erano necessariamente macchiette sanguinarie a tutto tondo.

Un’opera eccessivamente e inutilmente troppo lunga, massimamente didascalica e a volte sentenziosa, dal grosso budget talmente evidenziato che procura fastidio (la perfetta ricostruzione dell’epoca è “sbattuta” in faccia al pubblico anche quando non è necessario). Un’opera che nell’ultima mezz’ora perde di mordente e di tensione, sembra girare a vuoto, risulta superflua.

Dopo “I ponti di Madison County”, è il secondo lavoro di Clint Eastwood imperniato su una figura femminile. Ma non solo Angelina Jolie non è Meryl Streep, ma il suo personaggio risulta piatto e incolore: la regia ha delineato una figura monocorde, dalle espressioni e atteggiamenti in contrasto con il suo agire. Una donna dallo spirito irriducibile (che racchiude in sé il meglio del coraggio, della forza d’animo, della volontà di non piegarsi), combattiva e tenace al massimo ma che si muove, contradditoriamente, come una “mammoletta”, sempre truccatissima e curata, sempre altamente elegante, sempre giovane e bella (tranne una piccola parentesi): il che impedisce allo spettatore di partecipare, di commuoversi, di lasciarsi interamente coinvolgere dalla tragedia di cui si parla.
Si pensi, nel su citato film del 1995, alla celebre scena della mano di Meryl Streep sulla maniglia della macchina (una delle più belle dell’intera storia del cinema): in pochi attimi abbiamo tutto un mondo di infelicità e di angoscia espresso come meglio non si potrebbe. In due ore e mezzo,
“Changeling” non riesce che a trasmetterne una pallida e asettica immagine.

Si diceva all’inizio del coro di elogi che il film ha ricevuto a Cannes. Non manca però qualche voce discordante (e che mi trova perfettamente d’accordo): Il Corriere della Sera scrive “È la prima volta dove il personaggio femminile non abbia lati oscuri, sia in qualche modo così «monocorde»… Il film ci lascia la conferma dell’abilità di Eastwood come regista e come narratore, ma in fondo lo sapevamo già”; su Il Foglio leggiamo “Troppo lungo per quel che ha da raccontare”; Il Mattino sostiene “…il nucleo narrativo si disperde in troppi rivoli e la ricostruzione in costume insinua una patina di maniera”; Repubblica infine ironizza “Angelina Jolie, sempre col cappello in testa, onora il contratto senza sollevare il nostro tasso di partecipazione emotiva alle sue ambasce”.

Da apprezzare la splendida fotografia e la colonna sonora (suggestiva e malinconica, scritta dallo stesso Eastwood), ma soprattutto l’evidente indignazione morale del regista di fronte a una vergogna umana sociale politica, la sua rivolta contro un potere repressivo arrogante corrotto prevaricatore, che inganna e umilia… e a cui nulla sembra opporsi.

p.s.
Il doppiaggio non contribuisce alla credibilità del film


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