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Max Payne (2008) di John Moore

RECENSIONE. La vita del poliziotto Max Payne è finita il giorno in cui la sua famiglia è stata uccisa. Da quel momento l’unico motivo che lo spinge ad andare avanti è la vendetta. L’omicidio di un collega e il ritrovamento del corpo straziato di una giovane ragazza lo costringeranno a confrontarsi con antichi fantasmi, portandolo a scoprire orribili verità. Dietro a quello che sembra un banale traffico di droga si nasconde infatti una faccenda ben più intricata.

Ormai le avventure virtuali tendono sempre più ad assomigliare a quelle cinematografiche, riuscendo per certi versi a superarne i limiti. Questo perché, grazie alle nuove tecnologie, al giocatore è permesso di muoversi all’interno di trame sempre più reali, mantenendo una discreta capacità di scelta. L’interesse ricambiato da parte del grande schermo non deve dunque stupire.

Trame accattivanti e stuoli di fan pronti ad accogliere a braccia aperte la concretizzazione delle loro fantasie sono motivi più che validi per poter investire in tali produzioni. All’interno dello sconfinato panorama videoludico Max Payne rappresenta uno spartiacque. La forte carica cinematografica, l’estetica tipicamente noir e il notevole debito nei confronti delle storie disegnate da Frank Miller ne hanno garantito il successo, contribuendo a dar vita ad una nuova concezione di videogames, sempre più simile alle opere di celluloide. Purtroppo chi scrive è sempre stato convinto del fatto che trarre un film da un videogioco è una partita persa in partenza. Principalmente per il fatto che l’immedesimazione mediata dal joystick è impossibile da ricreare all’interno di una realtà – quella filmica – che presuppone nei nostri confronti il ruolo esclusivo di spettatore.

Seconda questione, altrettanto importante, è quella della trama. Difficilmente la totale liberta narrativa dei videogames può funzionare in un lungometraggio, a meno che non se ne prendano in prestito le regole per creare storie totalmente nuove (come ha fatto David Cronenberg con il suo Existenz). Del resto è in casi come questo che dovrebbe intervenire la sceneggiatura, cercando di levigare ogni possibile spigolatura o esagerazione. Da questo punto di vista bisogna dire che Max Payne (il film) ci prova a rendere il tutto più plausibile, ma non riesce a funzionare, almeno non del tutto.

Lo stesso vale per la regia. Molte immagini, impostate su quell’estetica da Graphic Novel tipica del videogioco e di molti titoli recenti come Sin City sono indubbiamente suggestive. Mark Wahlberg – che inspiegabilmente ha sempre creduto nelle potenzialità della storia – è abbastanza convincente come protagonista (ruolo che per molti avrebbe dovuto essere di Michael Madsen, vista la forte somiglianza con il personaggio virtuale). La quasi totale assenza del Bullet Time (caratteristica principale dell’avventura elettronica) non stona con l’atmosfera, diversamente da quello che si potrebbe pensare.

Ma l’interesse latita, e per un poliziesco non può esistere premessa peggiore.

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