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Sette Anime (2008) di Gabriele Muccino

Regia: Gabriele Muccino
Sceneggiatura: Grant Nieporte
Cast: Will Smith, Rosario Dawson, Woody Harrelson, Barry Pepper, Michael Ealy, Bill Smitrovich, Elpidia Carrillo, Robinne Lee, Joe Nunez, Tim Kelleher, Gina Hecht, Andy Milder, Judyann Eldera. Paese: USA (2008)
Uscita Italiana: 9 Gennaio 2009. Uscita USA: 19 Dicembre 2008.


Trama:
Tim Thomas (Will Smith) è un uomo in cerca di redenzione, la cui missione, secondo la legge del contrappasso, è quella di migliorare la vita di sette persone.
Ma per fare questo ha bisogno di conoscere i suoi uomini, e comprendere se meritano realmente il riscatto che è pronto ad offrire.

Recensione Sette Anime (2008) di Gabriele Muccino
(titolo originale: Seven Pounds)

Come ci si pone di fronte ad un film come Sette Anime?
Male, ma comunque insoddisfatti.
Questo perché l’ultima fatica americana di Gabriele Muccino possiede tutte le carte in regola per essere un ottimo film, ma le sfrutta nel modo più sbagliato e subdolo.
E lo fa coscientemente, con la consapevolezza di chi sa di dover per forza commuovere, rasentando in più di un’occasione quella linea che separa il patetico dal ridicolo (raggiungendo l’apice con una storiella telefonica, raccontata da Will Smith a Rosario Dawson).

Ma dire questo, come già si è detto, non appaga.
Perché Seven Pounds (titolo originale che rimanda a Shakespeare e al suo Mercante di Venezia, una libbra di carne per ogni debito da saldare) è un occasione sprecata.
Sprecata da una storia prevedibile, che gioca all’anticipo nel modo più sbagliato, costringendoci a fare due più due sin dalla prima inquadratura.
Sprecata perché non sfrutta al meglio un cast degno delle grandi occasioni, relegando a poco più di qualche minuto un Woody Harrelson in stato di grazia (sicuramente il più bravo all’interno della storia).
Sprecata perché perde tempo ad incorniciare momenti piuttosto che a delineare trame, conducendoci lungo una strada caratterizzata da musiche strazianti e spasmi di vitalità (in)volontari verso un doloroso happy ending, sulle note di I’m Into Something Good.
Ma quel brano è così legato a Leslie Nielsen e alla sua Pallottola Spuntata che è impossibile non trovarlo fuori luogo.
Certo, ha anche un pregio. Contribuisce a relegare il tutto alla dimensione farsesca che più gli si addice.

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