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Contenuti a pagamento in internet?

InternetNon riuscendo a lasciare la cosa fra le notizie “bella ma non la metto” portiamo anche noi alla vostra attenzione il “caso” che si sta sollevando attorno alle parole di Rupert Murdoch che sostiene che i contenuti dei suoi giornali online andranno a pagamento. Inauguriamo così la sezione che si occupa occasionalmente di questioni marginali al cinema ma di interesse per gli internauti più in generale. Murdoch è un magnate dell’informazione che raggiunge, in un modo o nell’altro, circa i 3/4 della popolazione mondiale. Anche noi ci chiediamo, sarà possibile farlo e come?

In Italia cosa faremo? Riportiamo e prendiamo spunto dal pronto articolo dei ragazzi di BadTaste, che si sono a loro volta occupati della cosa. Sottolineando anche come la reazione nostrana degli editorialisti non abbia smentito la “lecchino-mania”, dimostrando dunque solamente la nostra sottomissione a riguardo, dovuta all’ignoranza e all’impreparazione. Infatti bastano due parole di Rupert Murdoch e sembra una rivoluzione mediatica. Il big del mercato dell’informazione ci delizia così:

“Ci troviamo in questo momento nel bel mezzo di un dibattito epocale sul valore dei contenuti ed è chiaro a molti giornali che il modello attuale non funziona bene. Noi siamo al centro di questo dibattito e si può ragionevolmente pensare che siamo in prima fila nel trovare un modello che riesca a massimizzare le entrate per i nostri azionisti… Gli attuali giorni di Internet finiranno presto”.

Insomma va già duro, come fosse un ultimatum alla Terra. BadTaste fa notare anche alcune incongruenze con le teorie di Murdoch e soprattutto che queste ultime non destano (ma guarda un pò) le menti degli editorialisti nostrani. Ad esempio Murdoch cita quasi sempre il quotidiano Wall Street Journal come esempio di contenuti a pagamento. Giustamente notiamo anche noi che non può necessariamente essere un esempio per tutti, anche perchè è un giornale specializzato in economia, rivolto soprattutto a diversi addetti ai lavori. E insomma, almeno con questo esempio, non vengono certo garantiti risultati per la classica informazione. Un’altra piccola cosa è che Rupert Murdoch, poco più di un anno fa, si impegnava a sostenere che i contenuti forniti in modo gratuito erano molto più remunerativi. In fondo le idee si cambiano, ed è giusto, ma la credibilità di quelle poche parole va necessariamente messa in dubbio.

Anche perchè, se proprio si vuole fare un esempio vicino al caso in questione, sarebbe forse più opportuno prendere in considerazione il caso di Cecil Adams del sito Straight Hope Chicago che ha sperimentato i contenuti a pagamento in modo parziale. La lettura era gratuita e si pagava per scrivere (non conosco personalmente il metodo in questione). La cosa funzionava ma le entrate erano basse e in più vi era stato una diminuzione del traffico sul sito (potremmo dire, delle visite).

Fortunatamente in Italia non dovremo temere la volontà di far diminuire le visite. In primo luogo il mercato dell’informazione esige carne fresca, contante. In secondo luogo non abbiamo un’informazione in Italia da nascondere ma da snocciolare a più non posso e da far ingurgitare a tutti, perchè già privata di quasi tutti gli elementi nutritivi.

Comunque sia non è il caso di pensare che la realtà di Internet sia decisa da Murdoch. Non è il caso di pensare con leggerezza che il futuro dell’informazione, e in questo caso anche la realtà del web in genere, possa essere deciso dal primo potente di turno. Anche perchè non va tenuto conto solo degli introiti ma anche del servizio.

In Italia? Si, lo sappiamo tutti. Anche BadTaste specifica che siamo “all’anno zero” a riguardo (e non solo). In effetti nel nostro bel paese si è capito poco di internet, poco interessa o comunque poco lo si vuole promuovere se non per stupidaggini (nel migliore dei casi). Infatti, tanto per dire, Eugenio Scalfari (fondatore del quotidiano Repubblica) commenta così la cosa:

“Perdiamo copie, ma i lettori delle pagine web dei giornali aumentano. A quel punto penso che si possa chiedere un piccolo prezzo per l’abbonamento. Non 1 euro ma 10 centesimi, visto che vengono a mancare le spese della carta e della stampa. C’è poi anche la pubblicità, che però non è ancora in grado di fronteggiare le perdite della carta stampata”.

Come si diceva, appunto si segue la corrente senza pensare tanto, qualsiasi essa sia. Poi magari si da la colpa agli altri. Ovviamente annullando i costi di stampa, delle edicole e quant’altro il prezzo del giornale potrebbe notevolmente diminuire. Ma è il prezzo del giornale, pagheremmo per un’intera copia? Questo comporterebbe un cambio repentino, un taglio netto: da totalmente gratuito a totalmente a pagamento. Siamo sicuri che non provochi qualche disagio nel lettore e ci sia un rientro economico giustificato? Dunque potrebbero essere pochi centesimi per una parte di giornale. E chi sarebbe disposto a pagare solo certe notizie? Inoltre non va dimenticato anche il sistema di pagamento che si sarebbe costretti ad utilizzare per l’informazione online, cioè con carta di credito o simili. Giustamente non tutti sono disposti ad utilizzare questi metodi o non ne hanno disponibilità.

Alla fine dell’articolo che abbiamo preso come fonte, si “sdevia” anche sulla quastione degli “aggregatori di notizie“. Cioè siti che raccolgono sistematicamente e in massa notizie da altri siti, praticamente lavorando grazie alle notizie altrui (anche CineOcchio utilizza diverse fonti di notizie ma risulta una cosa un pò diversa. Ad esempio non vi è attualmente scopo di lucro, non siamo quotati in borsa, utilizziamo diverso materiale originale, nostre idee ecc.) Comunque in quel caso come si regolamenterebbe la cosa? E poi, oltre a questi aggregatori ci sono già siti che prelevano con copia-incolla contenuti da altri siti (come DagoSpia, senza nulla togliere alla sua qualità e utilità che non sono in grado di giudicare, che copia senza citare nessuna fonte, anche perchè magari la fonte è solo cartacea e non possono esserci i così detti “link”). Insomma, al momento si gettano come sempre solo alcune frasi a vanvera, almeno in Italia, senza approfondire realisticamente gli effetti e le conseguenze.

In conclusione diciamo noi che il mondo dell’informazione andrebbe rivisto, che l’informazione online andrebbe studiata e valorizzata non solo affidandosi a metodi di magnati esteri. Diciamo anche però, che all’evidente stato vergognoso in cui ci troviamo ora, in questo caso per quanto riguarda la rete, sembra difficile che si possa andare per il meglio. Aspettatevi pure il peggio da chi, in Italia, regolamenterà il mondo di internet e l’informazione online. Certo le nostre sono solo parole che offrono poche proposte per ora, ma non ci vuole sempre una nuova proposta per porsi delle domande e dubitare o, ancora, per capire cosa è sbagliato.

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