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Recensione: Gonzo: The Life and Work of Dr. Hunter S. Thompson (2008) di Alex Gibney

Gonzo: The Life and Work of Dr. Hunter S. ThompsonRECENSIONE: Gonzo: The Life and Work of Dr. Hunter S. Thompson (2008) di Alex Gibney. Un film documentario sulla vita e le opere dello sregolato giornalista Hunter S. Thompson e sulla sua, così detta, Gonzo Visione: quel particolare modo ironico, cinico e grottesco che aveva di guardare le cose, che mescolava giornalismo e racconto. Un viaggio interessante alla scoperta di una colonna portante, ora caduta, del giornalismo americano.


Hunter S. Thompson (1937-2005), creatore appunto del Gonzo Journalism. Uno stile giornalistico che combina una capace scrittura convenzionale a quella del racconto con l’aggiunta di impressioni personali per rigettare una particolare visione sulle cose e situazioni vissute. Un giornalista, conosciuto anche come Raoul Duke (pesudonimo che usò nella sua carriera) o come Dr. Gonzo (diventato anche dottore in teologia per corrispondenza).

Il documentario biografico di Gibney (ormai specializzato in documentari) è essenziale dal punto di vista formale (seppur con un aspetto estetico non del tutto incolto) e si contiene dall’esprimere giudizi, anche se lascia un’impressione positiva su Thompson. Però lascia piuttosto parlare gli scritti di Hunter Thompson e le persone che lo hanno conosciuto, la voce narrante è quella di Johnny Depp (che con la carriera di attore e per interessi personali è sempre stato vicino al giornalista) che appunto narra le parti del documentario leggendo diversi scritti dello stesso Thompson.
Nelle quasi due ore di documentario ci viene raccontata in modo lineare la vita, tranne per la prima sequenza che si rifà alla fine del film, dall’ascesa alla caduta e dai primi lavori ai primi grandi successi, del giornalista Hunter S. Thompson. E’ interessante e incredibile vedere come Thompson abbia fatto quel tipo di giornalismo, esprimendo tramite un miscuglio di analisi oggettiva dei fatti e teatralità un suo punto di vista soggettivo che andava però a scavare nelle parti più nascoste degli eventi di cui si occupava, di una parte più oscura dell’America. Era l’unico a farlo, probabilmente perchè l’unico abbastanza preparato quanto fuori di testa, ma forse anche l’unico al quale era consentito.

Il film ci presenta molti aspetti della sua storia, non solo quello della persona iconoclasta e di ribellismo estremo. Si parla anche della sua mania per le pistole, ne avrà fino a 22, anche se non era attratto dalla violenza nè tentato dalla cattiveria seppur presentasse un lato cordiale e generoso ed uno ben più abrasivo che si alternavano indiscriminatamente. L’ironia e il grottesco di alcuni suoi articoli si ritrova a volte nel film, in alcune parti della sua vita vissuta ( ciò di cui scriveva veniva prima vissuto da Thompson, come uno dei primi incarichi riguardo alla banda di motociclisti degli Hell’s Angels, con la quale passò un pò di tempo). In qualche momento si sorride, ad esempio la sua caccia al cinghiale con il mitra o il programma che avrebbe realizzato se fosse stato eletto sceriffo ad Aspen, fra le varie voci: trapanare e distruggere tutte le strade sostituendole con erba e usare il pugno duro con gli spacciatori disonesti, ovviamente dopo aver legalizzato le droghe.

Il documentario presenta anche un paio di soluzioni interessanti, come la scena in cui Hunter scrive a macchina e nel frattempo le immagini dell’evento di cui scrive si alternano nel riquadro della finestra che ha di fronte, come succede anche nel film Paura e Delirio a Las Vegas di Terry Gilliam.

Il film non si lascia sfuggire anche il lato più malinconico e angosciato, poi due delle caratteristiche che ben si notano in Thompson, presentandoci un uomo che va alla ricerca di onestà e correttezza senza trovarla, scrivendo poi di quello che ha trovato al loro posto con l’abilità che conosciamo. Ricerca svolta però già con una punta di pessimismo o un occhio critico un pò cinico che si alterna però anche a grandi speranze.
Nel film viene detto che con Fear and loathing on campaign trail 72 (dove si occupò della campagna elettorale di quegli anni con i due candidati Richard Nixon e George McGovern) andava cercava un politico onesto e in Fear and loathing in Las Vegas cercava il sogno americano. Sappiamo o immaginiamo che le speranze non sono state soddisfatte, anche dagli stessi titoli dei libri.

Mitico, lucido, commovente, straordinariamente critico e cosciente è il pezzo scritto sugli ultimi anni 60 (anche questo lo avevamo già sentito nel film Paura e Delirio a Las Vegas) del quale riporto una parte:
“Avevamo tutto lo slancio, cavalcavamo la cresta di un’altissima e meravigliosa onda. E ora, meno di cinque anni dopo, potevi andare su una ripida collina di Las Vegas e guardare ad ovest e, con il tipo giusto di occhi, potevi quasi vedere il segno dell’acqua alta, quel punto dove alla fine l’onda si è infranta ed è tornata indietro”.

Thompson fu sregolato, non dovette sottostare a nessuno se non alle sue angosce dovute alla lucida visione sempre più pessimista di quell’America che avrebbe voluto migliorare. Forse visse più libero di altri, comportandosi a suo modo, vivendo ogni esperienza fin quasi all’estremo punto di non ritorno, scrivendo verità e fandonie filtrate sempre e comunque da quel suo stile (Gonzo Vision) impareggiabile e unico.
Le angosce però lo divoravano e si fecero più pressanti quando divenne prigioniero del personaggio che aveva creato e indossato come un abito fin troppo aderente. Raoul Duke, lo pseudonimo con cui si chiamò nel libro Fear and Loathing in Las Vegas. Acquistò fama e popolarità ed è a questo punto che Thompson iniziò a cadere, non riuscendo più a scrivere e non essendo più il giornalista che voleva essere ma solo il personaggio che il pubblico riconosceva in lui. Thompson cade e rimane un mezzo zombi, probabilmente drogato.

Così Hunter Stockton Thompson si sparò con una delle sue pistole.
Da sempre annunciava il proprio suicidio e tutti sapevano che prima o poi sarebbe arrivato il momento e all’età, se non sbaglio, di 68 anni, con tutta la famiglia in casa, trovando il momento decisamente opportuno (a dire dei famigliari), andò in un’altra stanza e fece fuoco contro sè stesso sparando forse al personaggio che lo imprigionava o forse non vedendo più speranze in quella montagna di disgusto e paure che scorgeva nell’America di cui andava scrivendo, dove non riusciva sempre a lasciare spazio ai compromessi. Esistono però anche voci che sostengono si tratti di un omicidio legato ad un’indagine del giornalista sui fatti dell’ 11 Settembre 2001 (per nulla accennati nel film i Gubney) che comuque sembrano più speculazioni che altro.

In conlusione è davvero un film-documentario interessante e ricolmo. Scivola via senza annoiare e può suscitare curiosità ad ogni tipo di spettatore (non ai più piccoli) che voglia conoscere un poco di più il personaggio o anche solo che voglia ascoltare una storia vera di quelle che non si sentono tutti i giorni. Peccato che non abbia, almeno per ora, avuto una degna distribuzione anche in Italia, seppur rappresenti indubbiamente un film-documentario degno di nota.

Anche la colonna sonora utilizzata non rimane in secondo piano, ospitando anche diversi brani di Bob Dylan.
Da segnalare anche le tavole dei disegni di Ralph Steadman (che conobbe H.S. Thompson e si occupò della grafica, immagini e disegni dei suoi articoli e non solo). Inoltre venne iniziato alle droghe dallo stesso Thompson, nel loro primo incontro. Da quella volta Ralph seguì la follia assieme allo sregolato giornalista, forse un poco di più nella vita così come molto di più nei suoi disegni.

Hunter Stockton Thompson, in cenere, è stato  sparato con un cannone nel cielo del Colorado (come richiesto nel suo testamento) durante una grande festa organizzata anche da Johnny Depp, amico del giornalista.

Consulta tutte le informazioni sul film nella nostra SCHEDA

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