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Recensione: District 9 (2009) di Neill Blomkamp

District 9RECENSIONE: District 9 (2009) di Neill Blomkamp. Finto documentario e sci-fi, fantascienza contaminata in un film dove gli alieni sono approdati sulla Terra da diversi anni e sono finiti ghettizzati in una sorta di grande campo di concentramento in Sud Africa, gestiti da una Multi Nazionale globale che, non si sa come, controlla e gestisce il tutto come fosse il governo… Il risultato è un piccolo cult traballante.

La trama vede appunto l’arrivo di un’astronave aliena sulla Terra, non a Washington, New York o Chicago ma a Joahnnesburg in Sud Africa (nel film chiamata anche Joburg). L’inizio è un mockumentary (finto documentario) che racconta gli eventi dal passato: l’arrivo, l’astio, la segregazione. Gli alieni, non potendo muovere più l’astronave, vengono infatti accolti in grandi tendopoli che diventano con il tempo una specie di lager gestiti dalla MNU, la Multi National United, società multinazionale dal potere illimitato interessata alla tecnologia aliena. Gli alieni sono maltrattati e sottomessi, nelle loro favelas regna il caos e il crimine. Gli abitanti umani della città iniziano ad essere colti da xenofobia e razzismo. Gli alieni, in numero spropositato, devono essere dunque trasferiti più lontano, dove gli occhi degli umani non possano vederli. Wikus Van De Merwe è il capo dell’operazione per trasferire la baraccopoli aliena lontano dalla città. Nelle operazioni però qualcosa andrà storto e Wikus si ritroverà ricercato e infetto, in mezzo alla battaglia, in bilico fra una parte e l’atra, in bilico anche la sua moralità…

Neill Blomkamp esordisce al lungometraggio con la supervisione di Peter Jackson alla produzione con il supporto della sua casa di produzione Wingnut Films. Un film di fantascienza insolito che inverte le parti fra alieni e uomini (metafore) ma non solo, le mescola anche e le alterna. Immediata e chiara la metafora e la morale del film. Dove gli alieni altro non sono che “stranieri” e “diversi”, immigrati ghettizzati, seppur realizzati in modo che potrebbero risultare ributtanti nell’aspetto è con loro che gli umani in sala si identificheranno. Forte la tematica del razzismo. Neill Blomkamp costruisce un film di fantascienza decisamente atipico, miscuglio di espedienti (camera a mano, telecamere di sorveglianza, finto documentario, cinepresa classica, effetti speciali straordinari per un film a basso budget, azione e robottoni tutto insieme) che crea una narrazione insolita, tendente al realismo e che funziona ma scricchiola. Non mancano schizzi di sangue e ritmo, anche se quest’utlimo stenta a partire.

Temi seri, narrazione non convenzionale ma che potrebbe accontentare tutti (nonostante alcuni buchi e concessioni). Da aggiungere a tutto questo l’indiscusso protagonista Sharlto Copley che interpreta un personaggio forse da ricordare: inizialmente quasi anonimo, crudele, pedina, poi buffo, immorale e in seguito stoico e eroico, fin quasi epico, verso il romanticismo e la ritrovata umanità del finale (Eh si, un pò banale ma… Chi sono veramente i “non umani”?). Finale significativo dove i ruoli si confondono ancora e tornano chiari allo stesso tempo, dove viene detto chiaramente che non è l’aspetto a renderci “umani” o “non umani”, stranieri o non stranieri, da cacciare o da far restare, capaci di sentimenti o privi di questi.

Insomma un film traballante ma da vedere, forse un cult in futuro nonostante le tematiche siano già affrontate e banali. Comunque il tema (apprezzabilissimo) è espresso con mezzi nuovi e moderni (non fini a sè stessi). L’esordio alla regia di Blomkamp lascia presagire un buon percorso cinematografico e non mi stupirei di vedere al cinema, in futuro, qualche capolavoro da lui diretto.

Consulta tutte le informazioni sul film nella nostra SCHEDA

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