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Storia del Cinema – Cinematografie marginali anni Venti

STORIA DEL CINEMA – CINEMA EUROPEO degli ANNI VENTI: Cinematografie Marginali. Capitolo 2, parte 4. Quarta parte del secondo capitolo sul cinema europeo degli anni Venti. Un approfondimento generale sulel altre cinematografie secondarie del periodo e non approfondite precedentemente. Situazione italiana penalizzata, cinema nordico danese e svedese, cinema inglese, registi e film come Sjostrom, Dreyer e Hitchcock alle prime armi.

2.4 Cinematografie Marginali

In Italia c’è una sostanziale crisi produttiva e realizzativa. Si concentra a Roma l’insieme delle strutture produttive nell’Unione Cinematografica Italiana. Questo penalizza lo sviluppo delle attività e segna una voragine enorme a dividere il cinema italiano dalla grande ricerca europea e dalla grande produzione americana. Si, l’Italia è rimasta indietro anche qui, si è uccisa (cinematograficamente parlando) ma scavandosi prima una bella fossa. Continuo con il testo dove viene citata come marginale anche la produzione britannica anche se, proprio in questo periodo, inizia la propria lunga strada un certo Alfred Hitchcock (certo, impegnato nei primi tentativi). Ancora il cinema nordico di Sjostrom e di Stiller non offre negli anni Venti la qualità della ricerca operata negli anni Dieci, ma presenta comunque esperienze rilevanti. Il testo butta là un film come La stregoneria attraverso i secoli (Haxan, 1922) di Christensen, descrivendolo come un saggio bilanciato tra una componente narrativa e una mostrativa. Il film è insieme un documentario forte, ispirato a un’ottica di tolleranza, e anche un percorso a volte ironico che utilizza anche paradossi per descrivere ed interpretare un capitalo di pesante repressione. Da citare assolutamente è sempre un altro autore del Nord: il danese Carl Th. Dreyer. Dreyer che realizza, in Danimarca, in Svezia, in Francia, film di rilievo come Blade of Satans Bog (t.l. Pagine del libro di Satana, 1920), L’angelo del focolare (Du skal aere din hustru, 1925) e uno dei capolavori del muto, La passione di Giovanna d’Arco (La passion de Jeanne d’Arc, 1928). Realizzato in Francia è un film di grande impianto morale ma soprattutto una sintesi delle grandi ricerche tecnico-linguistiche effettuate dagli autori più inventivi. Si trovano nel film infatti un’ estrema ricchezza e varietà dei piani, un montaggio dinamico esaltato, inquadrature correlate spesso per contrasto e molto brevi, messa in mostra dell’artificialità della messa in scena. Inoltre le inquadrature presentano una grande varietà di configurazioni, anche se prevalgono i primi piani di Giovanna e dei Giudici. Le inquadrature in primo piano di Giovanna su sfondo bianco sono spesso fatte dall’alto per sottolineare la sua subalternità e sottomissione ai giudici, che vengono invece spesso ripresi dal basso. Un film che frantuma il visibile e crea un universo di tragedia e dolore con grande forza assieme ad un rigore impeccabile. Negli anni Trenta Dreyer realizza Vampyr (t.l. Il Vampiro, 1923). Il film risulta un horror estremamente atipico, abbandonando i criteri tradizionali del genere per inseguire un’idea di orrore e pazzia personale. Il testo cita anche una parte del film dove vi è una famosa inquadratura effettuata dall’interno della tomba, con la donna vampiro che si affaccia a guardare dentro creando, con questa e altre scene, un senso di profonda inquietudine durevole quanto il film, che investe lo spettatore come una sottile minaccia. Concludiamo qui la prima parte del secondo capitolo.

Fonte: CineOcchio

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Postfazione
Per questo esperimento mi cimenterò mano a mano in un riassunto, obbligatoriamente semplificato, ma mi auguro non troppo semplicistico, di quella che è la Storia del Cinema. Sarà un lavoro più accademico che riflessivo e soggettivo, per fornire linee guida basilari e un’idea generale della Storia del Cinema. Importante: Questo verrà svolto leggendo e rielaborando gli scritti accademici di riferimento (secondo i programmi delle università con indirizzi di studio relativi al cinema), anche riportando testualmente il libro, seguendolo pagina per pagina, paragrafo per paragrafo e capitolo per capitolo, ma senza dare, se non occasionalmente, nuove interpretazioni. Si riportano appunto solo concetti assimilati dopo la lettura del testo e soprattutto scopiazzando e citando il testo stesso nell’intento di riassumere i concetti essenziali, alla base della materia trattata. Questi riassunti non possono certo sopperire al testo di riferimento che consiglio di acquistare per la sua validità e utilità insostituibile. Riflessioni e appunti, correzioni e dibattiti, potranno poi essere intrapresi dall’utenza interessata con i commenti. Chi interessato potrà poi approfondire acquistando i testi di riferimento. In ultimo, il Lavoro non ha pretese di sorta, se non quella di fornire un appunto ulteriormente semplificato con l’aggiunta sparsa di qualche considerazione personale e riflessione.

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