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Il Bosco Fuori (2006) di Gabriele Albanesi

RECENSIONE: Il Bosco Fuori (2006) di Gabriele Albanesi.
Se c’è una cosa che noi italiani sappiamo fare benissimo, quella è lamentarsi.
Quando si tratta di cinema poi, specialmente se di genere (in questo caso horror e gore), ogni scusa è buona per esibirsi in piagnucolii e rimembranze nostalgiche, quasi fosse un dovere.

Non c’è niente di male ovviamente. Portare alta la bandiera di un cinema che, almeno in passato, è riuscito a dettar legge e a segnare un’epoca è una cosa più che lecita.
La vera riflessione da fare, quella si piangendoci addosso, è però un’altra e riguarda le cause che hanno spinto il nostro panorama cinematografico ad adagiarsi fiaccamente su se stesso.
Dire che mancano i tentativi di riscatto è una cosa parzialmente falsa. I registi pronti ad osare ci sono, quello che manca sul serio sono i produttori e ancor più i distributori dotati di un simile coraggio.
Non c’è da stupirsi quindi se film nati e cresciuti all’interno dello scenario underground nostrano trovino la loro via di riscatto all’estero, corteggiati in terra straniera e vergognosamente ignorati in patria.

E’ questo il caso de Il Bosco Fuori, primo lungometraggio di Gabriele Albanesi.
Un’opera carica di passione, penalizzata da un budget (ovviamente) ridotto, ma ricca di potenziale.
Cosa che in Italia è praticamente passata inosservata, ma che all’estero ha trovato il consenso di – udite udite – Sam Raimi che, con la sua Ghost House Underground (in collaborazione con Lionsgate), ha deciso di distribuirlo negli USA con il titolo The Last House in the Woods (un evidente omaggio al cinema di Wes Craven).
Verrebbe da dire che questo è quello che ci meritiamo.
Siamo sempre in tempo comunque per recuperare quest’opera, prima che cada definitivamente nel dimenticatoio.

Un film esclusivamente per appassionati, questo è ovvio, che unisce la passione per il genere alla voglia di osare.
I rimandi al passato sono tanti, come è giusto che sia.
Argento, Bava, Fulci, Craven, Hooper, per citarne alcuni.
La voglia di rompere gli schemi tradizionali, narrativamente e stilisticamente parlando, è altrettanto grande.
Il risultato è una pellicola magari non del tutto riuscita, ma che fa ben sperare.
E se c’è una cosa di cui il nostro cinema ha bisogno, quella è proprio la speranza.

SCHEDA DEL FILM

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