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Il Cinquantenario de

A Rimini un Convegno Internazionale (14 e 15 novembre) dedicato a “La dolce vita” nel cinquantesimo anniversario del film italiano forse più famoso nel mondo.

La Fondazione Fellini (che premierà quest’anno il regista Manoel de Oliveira e lo sceneggiatore Tullio Pinelli) organizzerà il simposio internazionale che vedrà differenti esponenti del mondo culturale approfondire e discutere le principali tematiche riguardanti  il lavoro cinematografico che ha influenzato e sconvolto un’epoca intera  (“La dolce vita” fu prodotto nel 1959 e uscì nelle sale il gennaio successivo).
Il Convegno sul film (incoronato da innumerevoli premi ovunque… Palma d’oro a Cannes, un David di Donatello, 3 Nastri d’argento, nomination all’Oscar per Fellini, Oscar per i costumi a Piero Gherardi) sarà presieduto da Tullio Kezich e Sergio Zavioli.

Girato due anni dopo “Le notti di Cabiria” (incoronato dall’Oscar), è il primo film in cinemascope di Fellini, il film che segna l’abbandono della fase “neorealista” della sua cinematografia. Non più un racconto unitario, una trama lineare e rigida, un vero e proprio soggetto nel senso convenzionale del termine: la fantasia è libera di spaziare, di avventurarsi nella rappresentazione onirica (e apocalittica), implacabile e comprensiva al contempo, di una realtà dominata dalla vacuità e dal disorientamento, una realtà che dietro i lustrini e la falsa allegria nasconde noia squallore decadenza morale alienazione…
Uno sberleffo della società piccola, provinciale, conservatrice e intrisa del peggior cattolicesimo, qual era l’Italia del tempo.
Un appello (sono parole di Fellini) a
“non lasciarsi ingannare da miti, superstizioni, ignoranza, bassa cultura, sentimento…”.

Raccontano le cronache che alla prima che si tenne al Capitol di Milano (15 febbraio 1960), attori e regista ricevettero addirittura degli sputi (e il giorno dopo L’Osservatore Romano intitolerà “Sconcia vita”):
“‘Basta! Schifo! Vergogna!’, urlano dalla platea verso la fine della proiezione. All’uscita dalla sala cinematografica Marcello Mastroianni viene apostrofato con termini come ‘vigliacco, vagabondo, comunista’… Il giorno seguente, dopo che il prefetto minaccia il sequestro del film, per motivi di ordine pubblico, una folla di spettatori si assiepa all’entrata del Capitol. Il prezzo del biglietto è stato aumentato per l’occasione a mille lire, ma la gente si accalca e sfonda la porta d’ingresso della sala. Il fatto è che si teme che l’indomani La Dolce Vita venga ritirata dalla distribuzione.
Di fronte al nuovo evento, il film si avvia così verso un clamoroso successo. E’ l’inizio di una nuova epoca”
(Activitaly.it).
E’ noto che anche in Parlamento si discusse del film gridando allo scandalo, che la Chiesa ne proibì la visone ai cattolici pena la scomunica e che gran parte della stampa chiese il ritiro dalle sale: per nostra fortuna, e del cinema italiano, non accadde.

Le posizioni oggi sono naturalmente del tutto diverse.
Del film-fenomento hanno detto, tra gli altri:
“Per chi conosceva bene Fellini, La dolce vita fu una sorpresa. L’uomo di Rimini aveva sempre mostrato, nei suoi film, una certa bonarietà definitiva. In questo film, invece, il regista è stato crudelissimo. Tutti sono abbietti, incapaci del più minimo riscatto. E i messaggi di quel film non erano certo rassicuranti… Titolo fondamentale del cinema italiano e del mondo” (ilFarinotti).
“…uno dei film più terribili, più alti, e a modo suo più tragici che ci sia accaduto di vedere su uno schermo” (il Tempo).
“Con La dolce vita Fellini eclissa tutti i Visconti e i Rossellini e i Germi e i Rosi e i Monicelli che abbiamo” (Giuseppe Marotta).
“Uno spartiacque nel cinema italiano” (ilMorandini).
“Cinico, spregiudicato, tagliente, grottesco, comico, irriverente, La dolce vita è un successo mondiale per semplicità, estetica e coraggio, ma soprattutto per l’assoluta profondità che con una leggerezza surreale Fellini riesce a raggiungere” (Mario Bucci).
“..splendido: divertente e tragico, mosso e svariante. E’ nella sua estrema libertà di composizione, ricchissimo: senza principio né fine, così stratificato, è lungo tre ore e potrebbe durarne due o sei. Immagine del caos, sembra caotico ed è calcolatissimo; e il suo linguaggio è tenero e aggressivo, smagliante e profondo. Infallibile, viene la tentazione di dire” (Morando Morandini).
“…siamo di fronte a un cinema altissimo per originalità di linguaggio, aggressività di stacchi e cadenze, incisiva compiutezza di immagini; un cinema che, superando i confini riconosciuti, ci mostra risultati la cui vastità era nota finora solo alla grande letteratura e alla grande musica” (Il Messaggero).
“..un fenomeno epocale, una sorta di storica cerniera fra il vecchio e il nuovo”
(Il Corriere della Sera).

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